Luce e Tenebra

Firia Ui Copt sospirò. Quello doveva essere almeno il milionesimo sospiro del mese.

Dopo la terribile lotta per salvare il mondo (tanto per cambiare... ^__^*) dalla pazzia di Valgarv, ultimo drago ancestrale e discepolo del demone Garv, nulla aveva più avuto un senso.

Sotto la sua solita forma di ragazza altabionda occhiazzurri che celava il magnifico drago dorato dentro di lei, vagabondava per le vie di una città sconosciuta, in una regione sconosciuta, in un mondo che ormai stentava a capire.

Lina e gli altri avevano saputo dare un senso all'odio smisurato di Valgarv, alla sua enorme tristezza e al suo desiderio di distrugge ogni forma di vita. Loro erano stati in grado di passare sopra a tutte le enormi atrocità che avevano scoperto.

L'immagine di quel piccolo drago ancestrale macchiato del sangue dei suoi simili che aveva visto in quel tempio di morte nelle montagne riapparve nella sua mente. Era un incubo che l'accompagnava da molto tempo, ormai.

Per gli esseri umani è facile. Loro accettano sia il bene che il male, sia il bianco che il nero. Sono una strana ed affascinante mistura di grigio. Il loro cuore può accogliere grandi dolori misti ad incredibili felicità.

Lei no. Era una forza del bene. E doveva vivere nel bene. Nel bianco.

Eppure era stata scagliata a viva forza nel grigio. Annegata in quel vortice di dolore in cui era sprofondato Valgarv.

Valgarv aveva avuto diritto ad un nuovo inizio, ad una nuova vita, dimenticando il suo dolore. E lei?

Aveva rinnegato i suoi capi, provava vergogna di appartenere ad una razza che ne aveva sterminata un'altra per semplici motivi politici. Chi era, lei? La sua vita aveva un'accidente di senso?

Dolore, dolore, dolore! Il suo cuore non riusciva a provare altro.

No. Aspetta. Aspetta. C'era qualcos'altro. Un'emozione. Una piccola, fugace emozione, nascosta in un anfratto della sua anima. Un brivido che percorre la schiena, il battito a mille. Un demone che la stringe e sussurra: "Via!", salvandola da una frana in una grotta.

E' vero, poi aveva finto di averla salvata solo per usarla contro Valgarv. E aveva tentato di vendere l'intero gruppo al cattivone di turno, ma che importa? L'aveva stretta a sè. L'aveva salvata. Questo era ormai l'unico ricordo cui Firia poteva aggrapparsi per non perdere del tutto la ragione. Per non diventare un nuovo Valgarv e tentare di radere al suolo l'intero pianeta.

Zoppicava. Zoppicava in una via di sconosciuti.

Come di era procurata quella ferita alla gamba? Non lo ricordava. Forse si era formata da sola. Forse era un suo tentativo di autodistruggersi. Forse...

La città era finita. Guardò la grande foresta attraversata da un piccolo sentiero.

Un passo. Dolore. Un altro passo. Ancora dolore.

Avanti così. Ogni passo è dolore. La ferita si stava molto probabilmente infettanto. Avrebbe tranquillamente potuto guarirsi da sola, o rivolgersi ad un qualsiasi esperto di magia bianca. Non doveva essere nulla di grave, in fondo. Una piccola cura, e sarebbe tornato a posto.

Ma perchè, poi? Perchè tentare di salvare una vita che non ha più senso? Tanto valeva lasciarsi distruggere così, da una piccola ferita. Questo avrebbe avuto un senso? No. Tanto, niente aveva più senso.

Troppo dolore. Uscì dal sentiero, e si sedette contro un albero. La gamba bruciava e formicolava. Che gamba era? La destra, o la sinistra? La sinistra, sì. Il lato del male. Sbottò in una risata cinica. Nemmeno il male aveva più senso. Quindi, da un certo punto di vista, era stato sconfitto. O no?

Oppure era diventato parte integrante di lei?

Chiuse gli occhi. Era una pazzia; in pieno giorno, in piena vista, appoggiarsi ad un albero e dormire. Persino il più idiota dei banditi avrebbe potuto approffittarsi di lei. Derubarla, e magari ucciderla. In quel caso... meglio così. l'avrebbe sollevata di un grande peso. E sarebbe stato meno doloroso di quella ferita sulla gamba.

Un torpore l'accolse, e cancellò tutto. Almeno nel sonno, avrebbe trovato riparo? No. Perchè avrebbe rivisto quel drago, disperato. Quel simbolo del dolore e della pazzia. E lui le avrebbe sussurrato: "E' tutta colpa tua, Firia. Tua e della tua gente. E' per questo che sono così!" E avrebbe mostrato il braccio deforme, e avrebbe spalancato le enormi ali nere, e lei avrebbe urlato, urlato ed ancora urlato, ma nessuno l'avrebbe salvata dalla sua coscienza...!

"... Svegliarti?"

"Eh?" spalancò i grandi occhi azzurri, allarmata.

Dov'era? Oh, sì. Il bosco. L'albero. Ma non era più pieno giorno. Si ci avvicinava al crepuscolo.

E davanti a lei...

"Tu?"

"Ciao!" aveva gli occhi chiusi. Erano pochi coloro che li avevano visti aperti ed erano vissuti abbastanza per raccontarlo.

Xelloss Metallium. Un demone. Il maggiore sterminatore di draghi dorati durante la grande guerra. Un nemico? Oh, no. Non più. Non esistevano più, né nemici, né amici. Solo il dolore, e...

"Mi ascolti?" domandò lui con impazienza.

"Cosa?" farfugliò. Era davvero grande, quel dolore. Le ottenebrava la mente. Nemmeno Xelloss poteva fare qualcosa. Il malvagio Xelloss. Portatore di terrore e distruzione. Così affascinante, e misterioso, il demone Xelloss...

La sua mente vacillava. Vedeva le labbra del demone muoversi e formare parole, ma non aveva nemmeno la forza di ascoltare. Però avrebbe voluto urlare. Urlare il suo dolore, piangere tra le braccia del male davanti a lei. Ma non aveva nemmeno la forza di fare questo.

Era da un po' che Xelloss parlava a Firia, le spiegava perchè era lì, ovviamente mentendo. Ma solo ad un certo punto si accorse dello sguardo spento del drago dorato, del tremolìo sulle sue labbra, del suo sudore.

"Firia...?" dapprima esitò. Ma poi allungò una mano, e la premette sulla fronte della ragazza. E suppose che il Dragon Slave di Lina fosse molto più tiepido della temperature del drago.

"Tu stai male!" esclamò. Firia non rispose; semplicemente, appoggiò la testa di lato, e chiuse gli occhi.

Ora, che farebbe un demone dello stampo di Xelloss di fronte ad un patetico drago dorato in preda ad un febbrone da Guinnes dei Primati? Riderebbe. Augurerebbe una morte lenta e sofferta. Forse infierirebbe con qualcosa di contundente.

Ma di certo non raccoglierebbe mai il drago tra le proprie braccia per portarlo da un esperto di magia bianca di sua fiducia. Proprio no.

Eppure, fu quello che Xelloss fece.

Tremando, la prese in braccio, e la strinse a sè. No. No. Non doveva e non poteva morire. Firia era l'unica persona al mondo che poteva aiutarlo. Se fosse morta, lui sarebbe stato spacciato.

A Saluinne, capitale della magia bianca, non è raro che qualcuno apparva dal nulla. Però è impossibile che un demone riesca a superare lo sbarramento di forze positive che tutto, dalla pianta della città ad i suoi abitanti, emana. Eppure, eccolo lì, il demone Xelloss, che appare al centro della sala del trono.

Nessuno ha il tempo di fiatare. E' lui che ha qualcosa da dire.

"So che la principessa Ameria Wil Tesla Saluinne ha fatto ritorno. E so che con lei c'era un essere deforme di nome Zelgadiss. Chiamatelo. Ho una paziente molto, molto grave."

Firia dormiva placidamente. La febbre stava calando, ora che la ferita era stata curata. Un ferita da nulla, a dire il vero. Un taglio nel polpaccio sinistro che non era stato disinfettato. E da lì l'infezione.

"Stava per morire." disse Zelgadiss, piatto.

Ameria si sedette accanto al letto, e prese una mano di Firia. "Avrebbe potuto benissimo curarsi da sola la ferita. Perchè non lo ha fatto?" guardò con preoccupazione la sua amica.

Xelloss non parlava. Dal fondo del letto, guardava il petto della ragazza sollevarsi in respiri più o meno regolari. Sarebbe rimasto lì, in silenzio, a controllare che il respiro continuasse.

"Ha bisogno di riposo." Zelgadiss invitò docilmente Ameria. Vi ho detto che si sarebbero sposati di lì a due giorni? No? Peccato.

Uscirono dalla stanza, lasciando solo Xelloss. Solo con i suoi pensieri.

I suoi superiori non sapevano che era lì. Nessuno aveva più saputo nulla di lui. Nè della sua malattia. Perchè anche Xelloss era ammalato, di un male molto più pericoloso e profondo della ferita di Firia.

Tutto era iniziato con una delle sue solite scorribande da demone cattivone-cattivone. Spedizione punitiva in una città. Popolazione da sterminare. Niente di troppo speciale, no?

E poi... quella ragazza. Una ragazzina di dieci anni, forse, che lo aveva guardato con immensi occhi azzurri, stretta tra le braccia della madre, ormai morta. Un giochino divertente, per un demone. Ma una stretta aveva preso il suo cuore. Nella sua anima nera si era fatto strada uno strano ed alieno sentimento. Certi esseri umani lo definiscono pietà. Ma cosa significa la pietà, per un demone?

Da dove accidenti è spuntata?, si era chiesto lui. Cosa lo aveva ridotto a graziare una ragazzina?

Sì, lo aveva fatto. L'aveva lasciata vivere. E se n'era andato, terrorizzato per ciò che stava provando.

Non solo aveva provato pena ad ucciderla, ma si era anche sentito in colpa per aver distrutto la sua famiglia! Un demone che si sente in colpa di uccidere è come una scimmia che mangia una banana e poi piange per la triste sorte del frutto. E' la sua natura che lo spinge ad uccidere, è la sua anima che è immune da sentimenti di questo tipo. Ma ora Xelloss era lì, odiandosi perchè era terribilemnte preoccupato per la sorte di un drago dorato.

Ma pregando il Dio che non aveva perchè Firia si salvasse.

Firia era la causa di tutto, Xelloss lo sapeva. Con quale altra forza del bene era stato più a contatto? A chi altri aveva salvato la vita, non per interesse, ma per puro istinto? Sì, Firia, con quei suoi dolci occhioni e il suo pensare in rosa, era la causa del suo male.

E l'avrebbe guarito. A qualsiasi costo. Ma non morendo.

Galleggiava nel buio. Che fine aveva fatto il dolore? Non lo sapeva. Ricordava solo il volto sorridente di Xelloss Metallium davanti al suo. Sorrise nel sonno. Era tornato.

Perchè? Magari l'avrebbe stretta ancora una volta tra le sue braccia... O... Forse...

Aprì gli occhi. Era in un grande letto, molto sontuoso. Era notte, e tutto era buio, fatta eccezzione per un piccolo lume che brillava su di una scivania.

La figura, grande e protettiva, stava in piedi, in fondo al letto, e vegliava su di lei.

Un sogno. Non poteva essere altro che un sogno. Il primo bel sogno dopo tanto tempo, è vero, ma soltanto un sogno.

Mosse le labbra per articolare un qualche suono, ma non sapeva cosa dire.

"Xelloss?"

"Come stai?" sì. Sì! Era la sua voce.

Era un sogno? O no? Il suo cuore iniziò a battere velocissimo, nemmeno lei sapeva perchè.

"Dove siamo?"

Il demone andò a sedersi sulla sedia accanto al guanciale di Firia.

"In una stanza della reggia di Ameria. Zelgadiss ti ha curato quella ferita sulla gamba."

La sua ferita! Quella che avrebbe dovuto mettere fine alla sua vita! No!

"Perchè mi hai portata qui?" domandò con un'acidità che non seppe controllare. Stava per finire tutto. Tutto il dolore e tutto il male attorno e dentro di lei. Invece, era di nuovo in corsa. In una corsa senza alcun traguardo.

"Stavi per morire... perchè? Perchè non hai curato quella ferita?"

Già. Perchè? Perchè... non lo sapeva. Desiderava morire, desiderava vivere. Ma non poteva vivere, senza uno scopo nella vita.

"Prima o poi dobbiamo morire tutti, no?" rispose, retorica.

"Cos'è, cercavi di accellerare il processo?"

"Può darsi."

Si erano invertiti i ruoli. Ora era lei a parlare di dolore e morte, e lui a rifiutare tutto questo.

Xelloss aprì gli occhi. Quegli occhi viola screziati di nero. Firia rimase senza parole, sopraffatta dalla bellezza di quello sguardo, che in origine doveva essere semplicemente simbolo del male, ma che, ora, si rivelava pieno di preoccupazione e frustrazione.

"Firia..."

Ancora una volta, lei ebbe l'impulso di tuffarsi tra le braccia del demone e piangere tutta la sua sofferenza. Era certa che lui l'avrebbe compresa. Ma non lo fece.

"... Non tieni più alla tua vita?"

Era una domanda così ovvia. Se avesse risposto che, sì, ci teneva, eccome, si sarebbe liberata subito del demone.

"La mia vita non ha più alcun senso." si ritrovò invece a dire. Lo stava facendo. Stava confessando tutto quanto. Ad un demone!

No, non ad un demone, ma AL demone. Il demone cui lei... provava affetto?

Era la notte delle pazzie. La mano di Xelloss si mosse, priva di controllo, e strinse quella di Firia.

"Da quando ho visto tutto quel dolore, quella morte, quella distruzione... Io... Non sono più stata in grado di reagire." due lacrime le rigavano le guancie. Oh, no! Non doveva piangere davanti a lui! "Ho perduto qualsiasi scopo o principio. Sono un essere senza capo nè coda."

Xelloss si sorprese nel riconoscersi in quella descrizione. Un essere senza capo nè coda. Un drago dorato che si lascia morire. O un demone che prova pietà nell'uccidere.

"Anche tu, allora..." sussurrò.

"Cosa?" lei era sorpresa. Xelloss si spostò dalla sedia al bordo del letto, e -Oh, qual gioia!- le cinse le spalle con un braccio. Firia appoggiò la testa sul suo petto. Era la notte che abbracciava il giorno. la tenebra che si fondeva con il buio. Ed, in tutto questo, Firia udì un battito regolare provenire dal petto di Xelloss.

"Anche un demone ha un cuore..." sussurrò.

E non precisò il fatto che il cuore battesse all'impazzata. Xelloss era terrorizzato. Cosa stava facendo? Abbracciava un drago dorato? Lo consolava? Era una cosa fuori dal mondo. Totalmente fuori dal...

Ma Firia era come lui. Anche lei aveva oltrepassato quel confine invisibile, ed ora si stava distruggendo di ciò.

"Io penso che... unire i nostri poteri in Lina abbia creato un qualche effetto collaterale." sussurrò il demone.

"Cioè?" Firia alzò il capo verso di lui. Guardò i suoi occhi. Erano ancora aperti. E le sue labbra. Le sue belle labbra che...

Baciò!

Non smisero. Nessuno chiese all'altro "Cosa stiamo facendo?"

Sembrò durare un'eternità. Firia aveva trovato lenimento per il suo dolore. Xelloss il perchè della sua malattia.

Niente aveva più importanza. Forze del bene? Forze del male? Figuriamoci.

Esistevano solo loro due. Loro due, l'oscurità, ed un letto molto accogliente.

E questo è quanto.

 

Fine

Avrei anche potuto parlarvi dei problemi che una forza del bene ed un demone possono avere nell'innamorarsi. Ma allora perchè l'autore di biancaneve si ferma al visserotuttifeliciecontenti senza spiegare i futuri problemi in cui sicuramente inciamperà il loro amore? L'amore è quell'attimo in cui non puoi resistere al sentimento che ti trascina tra le braccia del tuo partner. In cui ti senti appagata in quanto sei con lui (o con lei, per i baldi maschietti che ci seguono). Tutto il resto, come dice anche una famosa canzone, è noia.