Blind butterfly and violet eyes

di Makari e Mistral

 

DISCLAIMER: I personaggi di Slayers sono di proprietà di Hajime Kanzaka e degli altri aventi diritto.

Altri personaggi che dovessero apparire sono da considerarsi proprietà delle Autrici.

 

Day 2

La mattina dopo, Xelloss si svegliò quando le prime luci dell’alba che filtravano attraverso le tende cominciarono a solleticargli gli occhi. Non che avesse realmente bisogno di dormire; il suo corpo da demone recuperava energie molto in fretta, ma lui aveva conservato l’abitudine al riposo notturno in ricordo dei suoi anni mortali e anche per comodità quando viaggiava con gli esseri umani.

Infastidito dalla luce, sollevò appena una palpebra, si lasciò andare ad un inelegante sbadiglio e poi si stiracchiò abbondantemente.

“Certo che è scomodo dormire sul divano…” brontolò tra sé, muovendo la testa avanti e indietro come per sgranchirsi il collo “…peccato che il letto me l’abbia occupato qualcun altro…” E lanciò un’occhiata a Lina che ancora dormiva, tenendo strette a sé, una alla sua destra e una alla sua sinistra, Estrel e Fillei, anche loro profondamente addormentate.

Scuotendo la testa, si diresse verso il bagno, con l’intenzione di darsi una rinfrescata. Versò un po’ d’acqua gelida da una brocca nel bacile di porcellana finemente dipinta e si sciacquò il viso, osservandone poi il riflesso nello specchio; il sole che entrava dalla piccola finestra giocava con le goccioline che gli erano rimaste sulla pelle, facendole luccicare, e accendeva di bagliori ametista i suoi occhi perennemente socchiusi. Xelloss si lasciò scappare un sorriso soddisfatto: anche appena sveglio non perdeva una virgola del suo fascino.

Sempre sorridendo, tornò nella camera e prese ad avvolgersi in vita la lunga fascia che usava come cintura, poi si lisciò la maglia e si sistemò i capelli con un gesto veloce. Ormai era pronto, ma le ragazze non si erano ancora mosse di un millimetro e non sembravano intenzionate a farlo.

Scosse di nuovo la testa, lasciandosi scappare un sospiro rassegnato, e si mise a cavalcioni di una sedia, gli avambracci incrociati sullo schienale, ad aspettare che si svegliassero. Per sua fortuna, non dovette attendere molto: Estrel infatti, forse sentendosi osservata o forse perché Lina, in un movimento brusco, l’aveva fatta sobbalzare, lentamente si stropicciò gli occhi e poi si mise a sedere sul letto. Come vide che il demone la osservava, gli sorrise. “Ciao zio Xel…” sussurrò poi.

“Ciao piccola… dormito bene?”

La bimba bionda annuì e poi si allungò oltre il corpo di Lina per chiamare la sorellina la quale, a furia di pizzicotti, nel giro di un minuto aveva un braccio bordeaux ed era perfettamente sveglia.

Fillei non apprezzò molto il risveglio, ma il suo malumore durò poco perché in un attimo le due sorelline si erano inventate un nuovo gioco: come scivolare fuori dal letto senza svegliare la maga, che ancora dormiva della grossa.

Nell’osservare i movimenti lenti e misurati delle bambine, Xelloss ridacchiava divertito; la loro missione, però, si rivelò impossibile, tanto erano incastrate nelle lenzuola, arrotolatesi attorno alle loro gambe, ma soprattutto a quelle di Lina, dopo un notte agitata.

E infatti alla fine la rossa si svegliò e, tirandosi a sedere, cominciò subito a voltare la testa in tutte le direzioni, come a cercare di rendersi conto della situazione. Infine sembrò calmarsi e riuscì anche ad individuare con discreta precisione la posizione di Xelloss nella stanza. “Ciao Xel, ciao bambine” salutò, tendendo gli occhi chiusi fissi in un punto indefinito.

Il mazoku si alzò lentamente dalla sedia, colpito della velocità con cui la ragazza aveva imparato ad individuarlo percependone la presenza, ma, quando parlò, nulla nella sua voce tradì quello stupore. “Buongiorno Lina, come stai?”

Lei accennò un sorriso. “Potrei stare meglio, ma in confronto a ieri sto divinamente”

“È già un inizio” concesse il demone “Che ne dici se Estrel e Fillei ti accompagnano in bagno?”

“Vi va piccole?” domandò Lina, girando la testa attorno.

Le bambine gli si fecero subito accanto e la aiutarono ad alzarsi, mentre il mazoku si avvicinò alla finestra, tirando le tende e scoprendo un cielo limpidissimo che faceva scintillare l’abbondante manto nevoso. Si preannunciava una giornata splendida ma anche estremamente fredda, a giudicare dalle imprecazioni assortite cha salivano dal cortile, dove l’oste non riusciva ad attingere acqua dal pozzo perché il ghiaccio aveva bloccato tutto.

Osservando la scena, il demone sorrise. “Questo gelo dev’essere opera di Dynast-sama… avrà deciso di inviare i suoi spiritelli a portare neve e ghiaccio per complicarmi la vita… L’ho sempre saputo che non gli sto particolarmente simpatico!” mormorò a mezza voce, scherzando ma neanche tanto.

“Xel…” lo chiamò Lina, distraendolo dalle sue riflessioni “…andiamo a fare colazione?”

Il demone si voltò e vide la maga sulla porta del bagno, con Estrel e Fillei che la scortavano, tendendole una mano ciascuna. Com’era fragile in quelle condizioni! Costretta a farsi guidare da due bambine! Di nuovo quel senso di sottile piacere lo percorse, disegnando sulle sue labbra un sorriso ambiguo. E di nuovo nulla di ciò che provava sporcò la sua voce allegra. “Certo Lina, se hai un po’ di pazienza scendo con le bambine a occupare un tavolo e ad ordinare e poi torno a prenderti”

La maga rimase un attimo perplessa, ma poi annuì. “Ok… Estrel, Fillei, per favore fatemi sedere sul letto e passatemi una spazzola… così nel frattempo mi pettino”

 

Quando Xelloss ritornò in camera, trovò Lina seduta dove l’avevano fatta accomodare le bambine, il viso rivolto verso la finestra, intenta a spazzolarsi i capelli.

La maga teneva la gamba destra piegata sul letto, mentre l’altra penzolava pigramente senza che il piede, seminascosto dagli ampi pantaloni, toccasse terra. Tutti i capelli erano stati raccolti sulla spalla sinistra e ora le ricadevano sul petto in morbide onde fino a sfiorarle la coscia; la luce ambrata del mattino, poi, donava loro dei riflessi dorati che davano l’illusione che sul seno della ragazza scendesse una cascata d’oro. Le sue mani si muovevano veloci, in gesti armonici e ritmici, la destra che impugnava la piccola spazzola di legno lavorato e la sinistra che la seguiva nel movimento, lisciando i capelli.

Il demone la osservò per qualche istante, assorto: voleva poter mettere le dita tra quelle ciocche. Gli erano sempre piaciuti molto i capelli di Lina. Fin dalla prima volta che si era soffermato un istante ad osservarla, si era convinto che, quando LoN l’aveva pensata e creata (perché Xelloss era sicuro che la Madre avesse pensato e creato uno per uno anche gli esseri umani, non solo i demoni e i draghi), non avesse scelto a caso per lei quella chioma rosso fuoco. Già, perché i capelli di Lina sembravano davvero una fiamma danzante, quando si agitavano portati dal vento o da un movimento della ragazza. Ed erano davvero belli.

Lentamente, si avvicinò a lei e si sedette al suo fianco sul letto. La ragazza se ne accorse solo quando sentì il materasso piegarsi: per quanto brava fosse diventata, non sarebbe mai stata più abile del Trickster Priest.

“Xel! Da quanto sei qui?” esclamò, sorpresa.

“Sono appena arrivato Lina, altrimenti te ne saresti accorta, no?” le rispose, con un sorriso. Poi allungò una mano a sfiorare la sua che teneva la spazzola “Scusa, posso?”

“Posso cosa?”

“Pettinarti” esclamò il mazoku, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lina rimase giustamente sconcertata. Ci mise un po’ a focalizzare quello che le era stato detto. Decisamente Xelloss in quei giorni era davvero strano! “Beh… se vuoi…” balbettò dopo un attimo.

Il demone le prese la spazzola di mano e la posò sul letto, quindi iniziò a raccoglierle i capelli e a dividerli in tre grandi ciocche, per poi intrecciarli. Le sue dita, non ancora coperte dai guanti, si muovevano agili e veloci, come se il priest nella sua plurisecolare vita non avesse fatto altro che acconciare le chiome delle signore.

Mentre la grossa treccia rossa prendeva forma, Lina ascoltava le sensazioni che il suo corpo le trasmetteva, sentendo le dita di Xelloss scivolarle tra i capelli e accarezzarle il seno, in un movimento che aveva ben poco di casuale e involontario; ed erano sensazioni strane. Lei non era mai stata molto incline al contatto fisico, ma in quelle ultime ore aveva permesso al mazoku di avvicinarsi a lei come mai nessun altro e la cosa sconcertante - oltre al fatto che, teoricamente, lui era uno dei suoi nemici più temibili - era che lei aveva apprezzato le sue attenzioni, le aveva desiderate…! Davvero, non si capiva più.

C’era qualcosa di molto, troppo strano nell’atteggiamento di Xelloss da quando lui l’aveva salvata il giorno prima ma la maga non riusciva a capire l’origine di quelle stranezze… ma in fondo era importante? Lina trasse un profondo sospiro. Sì, avrebbe potuto esserlo, se solo lei avesse avuto voglia e forza sufficienti per prestare a quella faccenda l’attenzione che meritava. Ma non le aveva.

La ragazza scosse lievemente la testa. “Carpe diem, Lina, carpe diem! come diceva un antico poeta…” mormorò a mezza voce.

Xelloss, che aveva finito proprio in quell’istante di fissare la treccia con un nastro, alzò gli occhi e la fissò. “Hai detto qualcosa?”

Lei arrossì e agitò le mani. “No, no Xel, niente! Senti, andiamo a fare colazione?”

“Certo! Dai, dammi la mano che ti guido fino giù” disse, porgendole la destra perché la afferrasse.

“Dammi la… mano?” ripeté Lina, a disagio, alzandosi in piedi. “Ma…”

“Che c’è ora?!”

“No, niente… è che…” La maga non sapeva più cosa dire. Si sentiva terribilmente in imbarazzo all’idea di prendere per mano il demone, era troppo… intimo. A dire il vero si sentiva in imbarazzo anche soltanto all’idea di stare da sola con lui, visto quanto era successo la sera prima in bagno, ma non lo disse.

“Ho capito, vuoi che ti porti in braccio”

“EH?! Ma non ci pensare neanche!” strepitò la ragazza “Piuttosto cado giù dalle scale, ma tu non pro-”

Non finì la frase. Xelloss, sorridendo sornione, la sollevò senza fatica e se la strinse al petto. Lina, assolutamente paralizzata dalla sorpresa, per un attimo rimase immobile, poi timidamente allacciò le braccia dietro al collo del demone per tenersi salda, avvicinandosi così a lui quel tanto che bastava per sentirne il profumo dolce.

La ragazza non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma tra le braccia di Xelloss si sentiva bene e, in fondo, sperava che lui facesse una mossa del genere. Inspirò profondamente per calmare il battito impazzito del suo cuore e si impose di rilassarsi: ormai si era arresa davanti all’evidenza di non essere più in grado di capire le sue stesse reazioni.

Io ci rinuncio: accada quel che deve accadere…’ si disse, scuotendo leggermente la testa.

Intanto il mazoku si era avviato lentamente per le scale con un sorriso compiaciuto e soddisfatto dipinto sul volto.

 

***

 

Monti Kataart. Quartier Generale del Signore dei Ghiacci.

Dynast Graushella si materializzò al centro di un’enorme sala a mala pena illuminata dalla fioca luce che filtrava dalle alte finestre a sesto acuto coperte da pesanti tende scure e da alcune candele, appese qua e là alle pareti. La sala era pressappoco rettangolare, divisa in tre navate da enormi colonne dalla superficie irregolare, completamente trasparenti e dall’aspetto fragile. Le pareti, perfettamente lisce, si incurvavano verso l’alto a formare il soffitto a vela.

La sala del trono del Demone dei Ghiacci era strana, rispetto al resto del suo palazzo, che sembrava essere stato praticamente scavato nei ghiacci dei Kataart, e godeva di una particolare luminosità. Su di un lato, la parete si apriva a formare una cripta, a cui si accedeva tramite delle scale. Apparentemente, quella era l’unica apertura della sala.

Il Dark Lord si diresse con passo deciso verso un trono addossato alla parete nord della sala, e vi si sedette. Non indossava la solita armatura, ma una lunga veste bianca e azzurra, simile ad uno yukata, allacciata sul davanti e con delle maniche piuttosto larghe. Il volto, di un incarnato chiarissimo, era in parte ricoperto da un ciuffo arruffato di capelli blu, che invano il mazoku cercava di far stare al posto suo.

Si guardò intorno e, resosi conto di essere solo, si sporse sbuffando da un lato, per afferrare una bottiglia di vino rosso e versarlo in un calice posto su un tavolino - anch’esso trasparente -  lì vicino. Allungò una mano per afferrare il calice ma lo urtò, facendolo pericolosamente traballare. Si sporse ulteriormente per cercare di afferrarlo, ma peggiorò soltanto la situazione, facendolo cadere con tutto il tavolino. E rovinando miseramente a terra, con le gambe ancora sul trono.

Una vena cominciò a pulsargli sulle tempie, a dimostrare quanto dovesse essergli fastidiosa quella situazione.

“Sephi!!!” urlò.

Silenzio.

Il Dark Lord era ancora a gambe all’aria. Ma perchè quando aveva bisogno di lui non c’era mai?! Un certo demonietto avrebbe fatto i conti con lui, prima o poi.

“Sephi, Sephi, Sephiiiiiiiiii!!! SEEEPHIIIIII!!!!” continuò ad urlare.

Finché, correndo da chissà dove, non sbucò fuori una strana figura, completamente avvolta in una veste blu scura con cappuccio e bordata da rune gialle, portando in mano una quantità indescrivibile di pergamene, oggetti vari e scartoffie d’ogni genere.

Si fermò un attimo per riprendere fiato, poi cercò di assumere l’aria più dignitosa possibile, dimenticando la polvere che gli ricopriva i vestiti.

Era lui che si occupava del castello quando Graushella era assente. E certo non era impresa da poco. Il demone amava collezionare libri ed oggetti di ogni genere, peccato che non fosse ugualmente amante dell’ordine; così alla fine toccava sempre a lui cercare di mettere ordine nelle migliaia di cose che affollavano ogni camera.

Sollevò lo sguardo verso il suo padrone, ma un vistoso gocciolone gli scese lungo la fronte, quando vide il grande e terribile Demone di Ghiacci riverso a terra, sporco di vino, e con le gambe all’aria. Il Dark Lord provò a rialzarsi, ma scivolò sulle mani e ricadde con la faccia terra.

Sephi dovette trattenersi non poco dallo scoppiare a ridere.

“Invece di startene lì a guardare, che ne diresti di venire a darmi una mano?!”

“Uahhhh! Si, subito!!”, esclamò Sephi agitandosi tutto e correndo verso il mazoku, dopo aver lanciato in aria tutte le cose che teneva in mano e facendole inesorabilmente cadere a terra. Si sollevò della polvere e qualcosa si ruppe. Delle gocce di sudore scesero lungo le tempie di Dynast, mentre provava a non pensare a chissà cosa aveva distrutto il piccolo demone con la sua grazia.

Quando si fu finalmente rialzato, si risistemò sul trono, cercando di pulirsi lo yukata alla meglio, mentre Sephi risistemava il tavolino.

Il cappuccio gli era caduto, rivelando dei capelli neri malamente raccolti in un codino che gli scendeva lungo sulle spalle, mentre davanti gli coprivano la fronte e le tempie. Da essi, sbucavano delle lunghe orecchie a punta. Sul volto aveva degli strani segni viola, anche vicino agli occhi, verdi. Tutto sommato, aveva l’aspetto di un ragazzino di non più di 12-13 anni. Ma soprattutto, chiunque gli si fosse trovato dinnanzi, avrebbe notato che non aveva la stessa aura di Graushella. Certo, era un demone pure lui, altrimenti non sarebbe mai potuto sopravvivere a lungo nel castello del Dark Lord, così gelido ed intriso di aura negativa. Ma non era stato creato dal Signore dei Ghiacci.

Dopo avergli lanciato un’occhiataccia, Dynast poggiò distrattamente il capo su una mano, ripensando agli eventi degli ultimi giorni.

Guardava con diffidenza al piano di Zelas; ma soprattutto non gli quadrava una cosa: come faceva Phibrizio ad essere ancora vivo? Ricordava perfettamente come la sua aura fosse scomparsa dopo l’affare del Giga Slave. Ed ora se lo ritrovava improvvisamente davanti. Non voleva ammetterlo, ma temeva il suo potere. E se era lo stesso di quando era stato sconfitto da L-sama, beh, ci sarebbe stato di che preoccuparsi. Non voleva avere niente a che fare con lui. Né tanto meno con Zelas. O Dolphin. Che tanto non si era nemmeno presa la briga di presentarsi, rifugiata in chissà quale grotta marina del Demon Sea.

E poi Garv. Tutti avevano perfettamente sentito la sua aura, quando era ricomparsa esattamente nello stesso istante in cui era ricomparsa quella dell’Hellmaster. Ma non aveva risposto a nessuna chiamata.

Dynast aveva sempre evitato di avere grossi rapporti con gli altri Dark Lord, e davvero non ci teneva a sviluppare assurde strategie di attacco con loro. Soprattutto se poi riguardavano quella strega. Inverse. Strinse i pugni tanto da farsi male.

“Ehm… Dynast-sama…”

Fu riportato alla realtà da Sephi che gli porse un bicchiere di vino. Lo portò lentamente alle labbra, continuando ad osservare il vuoto davanti a sé.

Aveva osato affrontarlo.

Aveva osato uccidere la sua Shella.

Aveva osato sconfiggerlo.

Lui non poteva dimenticare.

Non poteva accettare di averla tra le fila come compagna; loro potevano farcela anche senza di lei.

Non poteva perdonarla.

Desiderava solo vedere scorrere il suo sangue, rosso come il vino che stava bevendo.

Tirò una gamba a sé, poggiando il piede sul trono, mentre agitava distrattamente il bicchiere tra le mani, ed osservava come la sala venisse deformata attraverso il sottile cristallo.

“Allora, è stato fatto?”, chiese infine osservando il demone inferiore con la coda dell’occhio, la fronte corrugata.

“Si, Dynast-sama. Le larve sono da poco tornate”.

Sephi si portò di fronte al suo padrone, guadandolo con i suoi occhioni verdi.

Negli ultimi giorni era stato impregnato con i suoi fratelli, ed avevano potuto comunicare solo telepaticamente. Dynast riusciva a chiudere la sua mente a qualsiasi tipo di intrusione, e gli aveva insegnato come fare; per questo riteneva che la telepatia fosse tra le forme di comunicazione più sicura.

Sephi sapeva bene quanto la visita degli altri Dark Lord avesse irritato il suo padrone; specie per quanto riguardava l’Hellmaster.

E per quanto riguardava Zelas… in fondo nemmeno il Demone dei Ghiacci si era mai potuto dire immune al suo fascino. Ma, d’ altra parte, egli era notevolmente cambiato, da quel giorno. Da quando l’aura della sua ultima General era scomparsa a Gairia.

Sephi era stato accolto dal Re dei Ghiacci molto, ma molto tempo prima della Kouma Sensou. Aveva visto come la morte di Grau, Nost e Grou avesse lasciato il Dark Lord tutto sommato indifferente. Ma non era stato così per Shella. E Sephi era certo che ce da qualche parte nel palazzo, Dynast conservasse ancora il corpo della demone, mentre il suo spirito vagava chissà dove negli Abissi del Caos.

Il fatto che poi l’argomento principale del nuovo piano di Zelas fosse “come giocare a divertirsi con la strega”, non aveva certo migliorato le cose.

Era passato troppo poco tempo da allora. Certo, si era rimesso perfettamente dopo la sconfitta; ma le ferite dell’animo erano molto più lente a guarire di quelle del corpo. E sapeva anche quanto la rinascita di Phibrizio e Garv gli avesse fatto male, dato che niente invece era stato concesso a Shella.

Poi era giunto quell’ ordine. Era strano che Dynast-sama  scegliesse di usare le larve. Le larve erano spiriti erranti, non morti che un tempo erano stati uomini, completamente soggiogati al volere del Dark Lord.

Dynast di solito agiva solo. E raramente aveva mandato Sephi in missione. Ma ora non poteva esporsi in prima persona. Le larve arrivavano silenziose, trascinate dal vento del Nord, e agivano silenziose, praticamente invisibili agli occhi di qualsiasi essere vivente, umano e non. Evidentemente, il suo padrone doveva avere in mente qualcosa.

“Tutto secondo gli ordini” rispose il mazoku, andandosi a mettere di fronte a lui.

Gli occhi di Dynast si scintillarono sinistramente.

“Le sue condizioni?”

“Lo hanno trovato praticamente mezzo assiderato, ma è vivo; ed è stato fatto in modo che lo restasse…”

“È quel che basta…” .

Le labbra di Graushella si incresparono in un sorriso. La sua mente viaggiò attraverso le proiezioni dei pensieri di Sephi, attraversò lunghi corridoi, per entrare in una sala piena di strani congegni, poi avanzò, fino al limite di una specie di laghetto ghiacciato, delimitato da pietre con incise delle rune, si sporse in avanti e vide sul fondo di esso la figura di un uomo, gli arti legati al fondo da pesanti catene, gli occhi chiusi in un profondo sonno senza sogni. Ed il battito del suo cuore.

Chiamò a sé il demone e gli cinse il collo con un braccio, baciandogli le tempie. Poi affondò il volto tra i suoi capelli, osservando oltre le sue esili spalle il vino che si muoveva nel bicchiere che ancora reggeva in mano.

Ora aveva un’arma che avrebbe fatto tremare anche Lord of Nightmares.